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L'infanzia negata

Bari, quartiere J, ore 15.30.
Io e il Tu siamo in macchina, diretti verso l'ambulatorio. Strada nota, sempre la stessa.
E INVECE NO, QUALCOSA DI STRANO STAVOLTA C'E'.
Ci sono tre ragazzini che scavalcano il muro tra la Chiesa e il centro per i ragazzi; e sono carichi di secchi, scope e mazze per lavare a terra. Il Tu inchioda, io scendo dalla macchina gridando -nel mio perfetto italiano- hei, cosa credete di fare?- e -non è roba vostra-.
Come se non fosse palese che a loro non gl'importa un piffero che quella sia roba altrui. Li guardo: hanno 9, 10 anni. Forse 11. Bambini con la pelle dorata dal sole estivo, i pantaloncini corti e le ginocchia sbucciate. Ragazzini che per ingannare la noia hanno pensato di entrare in chiesa, prendere quello che trovavano -e per fortuna sono entrati solo nel ripostiglio, e scappare. Per fare una bravata. Per dimostrare che loro sono dei "fighi", che sono "grandi", che devono avere il "rispetto".
Capisco questo e urlo "ma non vi vergognate?" (cosa in realtà piuttosto idiota; è lampante che non si vergognano affatto); uno, il più vicino a me, si gira; ha gli occhi verdi e i capelli biondissimi e sembra un angelo. E l'angelo parla: "mhò, e quant' fai brutt'!" e scappano.
Poi scopriamo che hanno messo sotto sopra il ripostiglio, che sono entrati da una finestra rompendo una zanzariera e un vetro.
Sono i bambini del "centro di sostegno", bambini con famiglie disagiate e almeno il padre in galera, che eseguono bravate su ordine di un ragazzo più grande. I bambini che cerchiamo di tiare fuori da una strada cattiva, malata dentro.
Bambini che alla fine non solo mai stati bambini.

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